Questa trattazione non viene sviluppata sulla base di evidenze tratte dalla letteratura, ma sulla base di esempi e osservazioni cliniche tratte dalle mie esperienze di tirocinio e di lavoro con persone affette da una dipendenza da sostanze o comportamentale. Una parte delle mie osservazioni trae origine dalla straordinaria esperienza fatta nel mondo dell'auto-aiuto. Le considerazioni emergenti vengono qui ricondotte alla teoria delle sub-personalità della psicosintesi.
Il circuito vergogna-colpa-evitamento
Citando l’esempio dell’ubriacone di Antoine de Saint-Exupery nel suo Piccolo Principe, Esposito e Molari (2008) mettono in evidenza in modo emblematico uno dei meccanismi alla base del comportamento di dipendenza. L’ubriacone della storia afferma di bere per dimenticare, dimenticare che ha vergogna, ed ha vergogna di essere capace solo a bere. Effettivamente, nel lavoro con persone tossicodipendenti è frequente poter osservare, una volta costruita una buona relazione libera da giudizio, la presenza di un nucleo di vergogna e sensi di colpa legati al comportamento di assunzione della sostanza, nucleo che in genere alimenta stati di tensione, senso di perdita di controllo fino a franchi sintomi ansiosi o depressivi, tali da indurre la ricerca di una soddisfazione, un oblio, o una fuga.
Questa soddisfazione arriva dalla sostanza, la cui assunzione diviene un comportamento preferenziale, sempre più pervasivo (e quindi disadattivo) per affrontare il mondo. L’istaurarsi di questo circolo vizioso è evidentemente variabile in base a fattori sia contestuali che intrapsichici. È evidente ad esempio come il livello di tolleranza sociale verso una particolare sostanza, la sua legalità, gli stereotipi associati all’assuntore, abbiano un peso fondamentale nel determinare il bisogno o meno di nascondere il proprio comportamento.
Potremmo dire che le proprie credenze personali ed i fattori sociali contribuiscono in modo determinante nello stabilire quanta distanza possa intercorrere tra un'immagine ideale di sé (più propriamente definibile idealizzata) e la corrispondente reale valutazione di sé, come un riflesso allo specchio che si allontana sempre più dall'originale. Questo meccanismo fondamentale sembra essere alla base di molti dei tratti e dei comportamenti che possiamo ascrivere a quella che, in psicosintesi, possiamo definire sub-personalità tossicomanica.
Razionalizzazione, de-responsabilizzazione, negazione e menzogna
La distanza tra un'immagine di sé idealizzata e la realtà dei fatti, unita al rischio di essere scoperti o svergognati, sembra essere uno dei motori in grado di spingere la persona ad alzare difese psichiche che possiamo interpretare come tratti stessi della sub-personalità.
Da una parte, il bisogno di giustificare atti troppo distanti dall’immagine di sé idealizzata spinge alla razionalizzazione e alla esternalizzazione delle proprie responsabilità (de-responsabilizzazione); dall’altra il bisogno di nascondere parti inconfessabili di sé porta alla negazione del problema e degli atti compiuti, fino al ricorso alla menzogna come modo per coprire le conseguenze del proprio comportamento.
Occorre ricordare come, nel contesto terapeutico e non solo, sia poco produttivo affrontare il tema del ricorso alla menzogna secondo una chiave di lettura morale ed etica nel funzionamento del dipendente. Da un punto di vista cognitivo, questo sembra infatti rappresentare un circuito vizioso, in cui ogni bugia serve a coprirne una precedente. La menzogna (negazione) si instaura quindi come strategia difensiva prevalente, al fine di non perdere completamente il legame tra i propri atti e l’immagine di sé (sia essa interiorizzata o attribuita dall’esterno attraverso l’assunzione di un ruolo).
Per comprendere meglio questo passaggio è utile considerare come quasi tutti i tossicodipendenti, per un periodo più o meno lungo di tempo, abbiano dovuto affrontare una fase in cui il proprio comportamento è stato tenuto segreto e nascosto, almeno alle persone significative. Fin tanto che questa fase prosegue, l’evitare di essere scoperti richiede l’impiego di risorse mentali sempre crescenti, la capacità di mantenere il controllo, proteggersi dall’ansia, e sempre più lo "smascheramento" può rappresentare un punto di non ritorno oltre il quale si teme di andare. Ciò che avviene in caso di scoperta può variare da situazione a situazione, in base ai modelli educativi, alle reazioni ed alle conseguenze degli atti compiuti, spaziando quindi dalla completa auto-identificazione con il ruolo stigmatizzato (e con la sub-personalità) del tossicodipendente a reazioni di rifiuto ed abbandono del comportamento tossico (più rare).
A prescindere dall'esito, è però lecito immaginare che il momento dello "smascheramento" agli occhi degli altri rappresenti un momento di caduta brutale delle difese psicologiche e di un loro conseguente riassetto, non di rado in senso involutivo.
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